Io non c’entro, non ho colpe.
Dopo tanto tempo, e nonostante ciò che dice la gente, queste sono le sole parole che mi sento di dire, le sole che ancora mi trattengono nel posto in cui sono nato. E in quello in cui mi piacerebbe morire. Io non c’entro, non ho colpe.
Mi guardo allo specchio, oggi come allora, e davvero non riesco a trovare nulla di sbagliato nel mio comportamento, nulla che possa giustificare le accuse di chi continua a ritenermi responsabile di una morte tanto atroce. Non dico che non avrei potuto commetterlo veramente, è solo che l’omicidio non rientrava nei miei piani. Non ancora perlomeno.
Io sono un uomo perbene.
«Hai mai visto il mare?»
«No, quando sono nato io il mare l’avevano già cancellato. Però ho fatto in tempo a vedere la luna, un vero spettacolo!»
«Già, vale la pena essere nati solo per averla vista una volta…»
«Quando hanno cominciato a far sparire le cose?»
«È stato vent’anni fa, nel 2007. Bisognava fare pulizia e si è iniziato dalle cose superflue.»

Io sono un “assegnatore”, in pratica sovrintendo al reclutamento dei soggetti idonei al back-up. Il mio compito è di scortare le persone fino all’aula di assegnazione e di fare in modo che tutti rispettino la fila, in ordine, senza cercare di superare gli altri, senza barare. Nell’aula ognuno riceverà il verdetto e in caso di ammissione il “grado” che occuperà dopo il trasferimento.

Il primo della fila è un tipo sulla cinquantina, di bell’aspetto, un signore elegante direi. Gli occhi azzurri, quasi trasparenti, e il passo deciso, composto, di chi sa dove andare o, quantomeno, di chi si illude di saperlo.
Il libero arbitrio, ciò che comunemente si intende per libero arbitrio, ha dei limiti ben precisi. Io ho l’obbligo di far rispettare questi limiti. Non sono un giudice però. La scelta finale, quella che divide i prescelti dagli esclusi, non tocca a me, per quella ci sono i computer, per quella c’è il Deus.

Dicono che i ricordi dell’infanzia siano quelli che restano maggiormente impressi nella memoria. Non so quanto ci sia di vero in questa teoria, ma so per certo di avere già scordato cosa ho mangiato ieri per cena, mentre ricordo perfettamente alcuni episodi della mia giovinezza.

Il mio piatto preferito è il polpettone. Il polpettone e la pizza. I miei due piatti preferiti sono il polpettone e la pizza. E questa è una certezza. Due certezze per essere precisi.
Senza acciughe, la pizza mi piace senza acciughe. Non amo troppo la commistione dei sapori, e soprattutto la mescolanza dei carboidrati con il pesce. A dire il vero è il pesce che non mi piace. È per via delle spine. Odio le spine.

Può la violenza estrema diventare arte? La risposta è sì, almeno a sentire le parole dell’eclettico Takashi Miike (e dei suoi tanti estimatori sparsi in tutto il mondo). Il geniaccio in questione è tipo dalla telecamera facile, uno che gira un film in un paio di settimane macinando ripresa dopo ripresa a colpi di “one shot”, in altre parole: buona la prima e pedalare (altro che i reiterati ciak a cui sono abituati i filmaker nostrani!).