12.03.2019.

Ichi the killer: quando la violenza diventa arte

Vota questo articolo
(0 Voti)

Può la violenza estrema diventare arte? La risposta è sì, almeno a sentire le parole dell’eclettico Takashi Miike (e dei suoi tanti estimatori sparsi in tutto il mondo). Il geniaccio in questione è tipo dalla telecamera facile, uno che gira un film in un paio di settimane macinando ripresa dopo ripresa a colpi di “one shot”, in altre parole: buona la prima e pedalare (altro che i reiterati ciak a cui sono abituati i filmaker nostrani!). Il risultato, diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, non è un approccio amatoriale al cinema (ovviamente alla base c’è tanta, tantissima tecnica da parte di tutti i professionisti coinvolti), ma un’adesione quasi maniacale ai fatti, un “tocco ravvicinato” per restare “incollati” alla storia, per seguirla in modo naturale, senza l’occhio ipocrita dei vari neo-neoralismi (memorabile l’ipercinetica scena d’apertura, con la camera che gioca con le catena e i pedali di una bicicletta in corsa).

L’eclettismo di Miike, d’altronde, è ben visibile anche nelle tematiche che affronta (tutte con lo stesso piglio curioso, divertito e sempre dissacrante): lui spazia dal musical horror-demenziale (The Happiness of the Katakuris) al film per “ragazzini” (Zebraman, un supereroe in tenuta da zebra!), dal thriller all’horror senza rinnegare se stesso, senza perdere una goccia del suo stile inconfondibile.

Miike Takashi porta oltre l’insegnamento di John Woo (almeno nel suo periodo Hongkonghese) e affianca le sperimentazioni di Takeshi “Beat” Kitano e di Park Chan-wook (per spostarsi sul vivacissimo versante sudcoreano). Il suo cinema è vivo e sgusciante, proprio come il polpo che si mette in bocca Oh Dae-su in Old Boy, e sono sicuro che continuarà ad agitare i suoi tentacoli per molto, molto tempo.

La storia: Kakihara, l’uomo dal sorriso che va da un orecchio all’altro (letteralmente), è un killer spietato e masochisticamente attratto dal dolore che indaga sulla scomparsa del suo boss. Il primo indiziato per il rapimento sembra sia Ichi un assassino psicolabile dalla personalità multipla, a volte una marionetta nelle mani di uno strano fratello, a volte un supereroe in calzamaglia nera.

La storia è quella del duello, inseguito, agognato addirittura, tra Kakihara e Ichi, due facce della stessa medaglia, due pedine (ma forse la pedina è una sola) sulla stessa scacchiera.

Commento: Ichi the killer è un’opera visionaria, a tratti perversa, acida, viscerale, un film pensato come sublimazione del dolore, un melodramma sanguigno che toglie il fiato e lascia perplessi… piacevolmente perplessi. Se avete storto il naso davanti alla scena dei denti e del martello del già citato Old Boy di Park Chan-wook lasciate perdere questo film, altrimenti cercate tutti i lavori di Miike, potreste scoprire che il tanto osannato Tarantino non ha inventato proprio un bel niente.

Letto 1437 volte

Lascia un commento

Assicurati di aver digitato tutte le informazioni richieste, evidenziate da un asterisco (*). Non è consentito codice HTML.