12.03.2019.

Niente colpi bassi

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FUORI I SECONDI


Mettetevi comodi. Sedetevi sulle vostre poltroncine di velluto blu, sono appena le sette e trenta, ma lo spettacolo sta già per cominciare, e io vi ho riservato i posti migliori. Prima fila, a un passo dal palcoscenico, a un passo dal ring. Fuori i secondi.
C’è un uomo in una stanza buia. Ha mani e piedi legati e una striscia di nastro adesivo gli tappa la bocca per impedirgli di gridare. Da un ambiente attiguo proviene il rumore di un rubinetto che perde, e questo è l’unico suono che riusciamo a percepire.
Non ho ancora intenzione di rivelarvi l’identità del malcapitato, sarebbe come svelare il finale di un film ancora prima dei titoli di testa, dunque accontentatevi dei fatti e state ad ascoltare. Il match lo dirigo io.
Per il momento non vi occorre sapere i motivi che lo hanno portato in una situazione tanto scomoda, ma sappiate che, prima del termine della giornata, il prigioniero sarà morto. Messo K.O. allo scadere dell’ultimo round.
Ammetto che, messa così, la scena d’apertura possa provocare qualche risentimento verso gli spettatori più impazienti, ed è per questo che, senza anticipare troppo dei successivi sviluppi della vicenda, voglio confidarvi un piccolo segreto: quest’uomo è stato rapito perché conosce un’informazione compromettente. Sì, è di un rapimento che stiamo parlando, un rapimento in piena regola, sebbene non ci sarà alcuna richiesta di riscatto.
È vero, vi ho anche anticipato che il nostro personaggio farà una brutta fine, quindi non affezionatevi a lui e, soprattutto, non sperate in un colpo di scena che possa salvargli la pelle.
Quanto al nome dell’assassino e all’arma del delitto, beh, di questi particolari ci occuperemo più tardi, quando il rapimento avrà subito la sua evoluzione in omicidio. Per ora il nostro amico è ancora vivo, stordito e spaventato, ma ancora vivo, e questo ci fornisce il tempo necessario per spostarci in un altro posto. Non molto lontano, a dire il vero.


PRIMO ROUND


Sono le sette e trentacinque, e Wendy si è appena svegliata. Il letto matrimoniale è diventato troppo grande da quando suo marito è andato via di casa. Fino a pochi giorni fa, il posto vuoto accanto a lei sarebbe stato occupato da Teodor Redgrave, trentadue anni, buona parte dei quali trascorsi a tirare pugni su di un ring. Oggi la donna riesce a malapena ad occupare la sua porzione di letto, la restante zona libera era destinata ad accogliere l’impressionante stazza di un peso massimo, e vi assicuro che occorrono letti molto grandi per pugili di questa categoria.
Non è triste però, Wendy non è affatto triste per l’assenza di Teodor. Dopotutto ha carezzato per anni l’idea di liberarsi di suo marito, e adesso non le sembra vero di non dover più avere a che fare con un uomo che non ha mai amato. Certo, avrebbe preferito che le cose fossero andate diversamente, che la loro rottura fosse stata meno traumatica e priva di strascichi velenosi, ma può ugualmente ritenersi soddisfatta per ciò che le ha riservato il destino. In fondo, se gli eventi degli ultimi giorni non avessero preso la piega drammatica di cui è stata protagonista, oggi accanto a lei ci sarebbe ancora l’uomo che le ha rovinato l’esistenza. E il suo cuore non avrebbe mai conosciuto il vero amore.

Ora però, perché abbiate ben chiaro il quadro della situazione, occorre fare un salto indietro nel tempo di una decina d’anni, quando Wendy e Teodor frequentavano il Liberty College di Castletown.

Wendy, allora, era la responsabile del giornale dell’istituto, nonché la ragazza più bella del corso di letteratura inglese. I suoi articoli sul Liberty Review le erano valsi i complimenti di tutto il corpo docente e, cosa che la riempiva d’orgoglio, le avevano fatto guadagnare l’apprezzamento delle penne più autorevoli del giornalismo nazionale.
Tutti riconoscevano la sua innata abilità nello scrivere, ma erano state le foto che la immortalavano durante il ballo di fine anno a farle conquistare l’ammirazione dei compagni di corso, e di uno di questi in particolare.
A quei tempi Teodor Redgrave era un atleta promettente con la passione per la boxe e le belle ragazze. E Wendy era decisamente una bella ragazza. Purtroppo per lui, però, il giovane boxeur non eccelleva per intelligenza e questo, sulla carta se non altro, lo tirava fuori della cerchia dei potenziali fidanzati della studentessa. E poi c’era Reginald.
Wendy e Reginald si erano conosciuti alla redazione del Liberty Review e lì, complice un articolo sulla satira nelle opere di Jonathan Swift, si erano scambiati il primo bacio. Il primo di una lunga serie.
Reginald Casper non era un tipo sportivo, ma possedeva le qualità necessarie a fare innamorare Wendy, una circostanza che Teodor non riusciva a tollerare. Il giovane pugile, infatti, nonostante potesse avere tutte le ragazze del college (e gran parte di queste le aveva già avute), era alla bella Wendy che pensava tutte le volte che bazzicava le aule dell’istituto. Come sempre accade, la preda più difficile è quella più ambita, e il pensiero che uno smidollato avesse messo le mani sul bocconcino più ghiotto lo mandava in bestia, e rendeva più pesanti i suoi pugni quando calcava il ring.
A distanza di anni, credo che Teodor Redgrave debba gran parte delle sue prime vittorie al rancore che provava verso il suo rivale in amore. In ogni pugile che mandava al tappeto vedeva proiettata l’immagine di Reginald, e ogni volta che un arbitro sollevava il suo pugno al termine di un incontro era a Wendy che dedicava la vittoria.
Ovviamente una situazione del genere non poteva durare a lungo, e di questo Reginald ne era convinto, soprattutto dopo che Teodor lo aveva avvicinato in cortile per fargli una promessa minacciosa.

«Prima o poi Wendy sarà mia!» gli aveva detto il pugile con l’aria spavalda di chi aveva incrociato i guantoni troppe volte.

Reginald era sicuro della genuinità dei sentimenti che Wendy provava per lui, ma la caparbietà di Teodor lo preoccupava, e la stima di cui questi godeva presso tutti i compagni (e le compagne) era un argomento sufficiente per alimentare la sua gelosia. Presto i tre vertici del triangolo sarebbero stati pericolosamente vicini, e allora anche Reginald avrebbe dovuto affrontare il suo personale scontro sul ring della vita vera.
I cliché delle storie d’amore adolescenziali sembrerebbero esserci proprio tutti: l’affascinante ragazza inarrivabile, il bullo senza cervello e l’intellettuale sfigato. Un quadretto canonico destinato a concludersi, secondo i criteri dei lieto fine cinematografici, con la sconfitta del prepotente di turno e il trionfo dell’amore tra il secchione e la bella studentessa. In questa storia, però, imparerete presto che i cliché non sono rispettati quasi mai, d’altronde Teodor Redgrave non avrebbe mai accettato una sconfitta per rispettare il copione di una banale commedia romantica. Era un ragazzo scaltro lui, poco intelligente, ma estremamente furbo e sagace, e seppe aspettare l’occasione giusta per entrare in scena e reclamare ciò che credeva gli appartenesse di diritto.

Quell’occasione si presentò l’ultimo anno di college, durante una calda sera di maggio, e si presentò mentre Reginald era in Europa per un convegno sulla letteratura medievale anglosassone.

Il sole era già tramontato, e Teodor stava uscendo dalla palestra dell’istituto quando un urlo attirò la sua attenzione. Teodor Redgrave, questo è bene che lo sappiate, non era un cattivo ragazzo, era sbruffone e scontroso forse, ma non cattivo, e quella volta si precipitò senza esitare nella direzione delle urla. Il fatto che si trattasse di urla femminili fu solo un incentivo in più per fargli compiere una buona azione che, ne sono convinto, avrebbe compiuto in ogni caso.
Prima di scoprire le carte sul gesto eroico di Teodor, però, dobbiamo spostarci ancora nel tempo, e nello spazio, per ritornare al presente e fare conoscenza con un altro protagonista di questa storia.

 
SECONDO ROUND


Sono quasi le otto, e Gordon Chumball rientra in casa dopo una notte movimentata. Indossa una tuta con il suo nome stampato sopra (uno dei privilegi che spetta al campione nazionale dei pesi massimi) e gronda sudore nonostante non si sia ancora allenato.
Sul tavolo in cucina, la radio è accesa da tre giorni, ma Gordon non ci bada, non se ne accorge neppure mentre si versa del whisky in un bicchiere. Una colazione piuttosto inadeguata per un pugile che deve difendere il titolo tra qualche ora, nell’ultimo incontro della sua carriera.
Alla radio, Nick “The Voice” Fleischman annuncia l’inizio del suo programma quotidiano. Tre ore di notizie sportive, qualche facezia e una mezza dozzina di canzoni country per allietare la mattinata dei tanti automobilisti intrappolati nel traffico.
Gordon è al terzo whisky quando “The Voice” comincia a parlare di lui. Il volume della radio è alto in modo fastidioso, eppure il pugile non presta attenzione alle parole dello speaker, neanche quando questi prende a criticarlo pesantemente.
La freddezza di Gordon Chumball è rinomata nell’ambiente della boxe, tuttavia l’impassibilità di fronte alle dichiarazioni del giornalista non c’entra con la sua indole e il suo autocontrollo. Il pugile non sente le parole di Nick Fleischman, a dire il vero non sente più nulla dal giorno in cui un malvivente lo ha messo a tappeto con un pugno mentre era al parco a fare footing. Senza guantoni i pugni fanno molto più male e possono avere effetti devastanti, anche se ad assestarli non è un pugile professionista.
Chiunque abbia provato gli effetti di un Knock Out, sa bene cosa vuol dire sperimentare un corto circuito nella testa. La corrente si interrompe e il cervello smette di funzionare. Una situazione terribilmente spiacevole, ma che, nella maggior parte dei casi, si risolve dopo alcuni secondi di nero, salvo poi il suo ripresentarsi a distanza di anni sotto forma di qualche subdola patologia permanente. Nella testa di Gordon Chumball la corrente non è ancora tornata, e il corto circuito continua a impedire il corretto funzionamento delle sue capacità sensoriali. Per lui il black-out è cominciato la settimana scorsa, all’alba di una giornata che aveva creduto propizia per aver trovato in strada una moneta da un quarto di dollaro.

Un teppistello, senza mostrare alcuna riverenza per il detentore del titolo dei pesi massimi, aveva steso Gordon con un cazzotto ed era fuggito lasciandolo privo di sensi (e del suo portafogli) sulla pista di atletica del parco. Il fatto che alle cinque di mattina non ci sia mai nessuno in giro ad allenarsi, spiega perché l’aggressione era passata del tutto inosservata.
Il pugile si era risvegliato con la faccia dolente e sordo come una campana, ancora indeciso se credere di essere stato oggetto di un rapimento alieno o vittima di un più prosaico scippo. Il borseggiatore era riuscito a fare quello che nessun altro pugile aveva mai fatto, e Gordon, dopo essersi sollevato da terra, aveva subito intuito che gli effetti del primo K.O. della sua vita si sarebbero protratti ben più a lungo del previsto.
Morale della favola: una moneta da un quarto di dollaro non basta a rendere propizia la giornata di un pugile.
Per Gordon non era stato difficile comprendere la gravità della situazione, non aveva nemmeno dovuto interpellare il suo medico di fiducia. Il dottor Fisher, anzi, sarebbe dovuto rimanere all’oscuro dell’incidente per non compromettere l’ultimo capitolo della carriera del pugile. Jerolamus Fisher era un brav’uomo e un medico eccellente, ma il suo ruolo gli imponeva di informare i giudici di gara delle condizioni fisiche degli atleti che seguiva, e questo Gordon non poteva permetterlo.
Per questo motivo, a distanza di un paio di ore dal pugno fatale che lo aveva steso, il pugile si era recato in una clinica per la cura dei problemi uditivi e qui, confidando nella discrezione e nel segreto professionale di uno specialista in otorinolaringoiatria, aveva sperato di guarire in tempo per difendere il titolo un’ultima volta. Purtroppo la diagnosi era stata tanto implacabile quanto inappellabile, la sordità di Gordon era irreversibile.
Con un tale handicap il pugile avrebbe dovuto faticare parecchio per portare a casa un’altra vittoria, ammesso che fosse riuscito a eludere i controlli medici e a salire sul ring nonostante i suoi recenti scompensi uditivi. Sordità sensorineurale, così un’avvenente dottoressa aveva definito il disturbo di Gordon, una perdita dell’udito dovuta a una lesione delle aree cerebrali deputate alla ricezione degli impulsi nervosi. Un modo contorto per dire che le sue orecchie avevano smesso di funzionare per sempre.
Il pugile era rimasto impassibile mentre la dottoressa sciorinava una lunga teoria di complicati termini scientifici. Per lui, abituato a trattare con parole di ben altro tenore, il linguaggio medico era totalmente incomprensibile, ma devo anche ricordarvi che quel giorno il boxeur non avrebbe compreso nulla di quello che gli veniva detto, perfino se a parlare fosse stata una bambina dell’asilo nido di Castletown. La sua patologia, infatti, gli impediva di ascoltare qualunque suono, e le parole dell’otorino non costituivano un’eccezione. La donna si era sforzata di scandire lentamente le frasi per consentire al suo paziente di leggerle le labbra, ma Gordon aveva preferito concentrare lo sguardo su altri particolari della dottoressa, soltanto un po’ più in basso delle sue labbra carnose. Al termine della visita, comunque, il referto gli era stato trascritto su un foglio di carta, assieme alla prescrizione di un paio di antibiotici e al numero di telefono del medico più attraente che avesse mai visto. E i pugili hanno l’opportunità di conoscere un numero considerevole di medici durante la loro carriera!
L’evenienza di un appuntamento galante, tuttavia, non aveva cancellato le paure di Gordon, che temeva di dover rinunciare al titolo senza combattere. Dietro i silenziosi boccheggiamenti della dottoressa, del tutto simile a un variopinto pesce tropicale in un acquario, si celava, infatti, un verdetto spietato che non lasciava adito ad alcuna speranza per il boxeur. La verità, alleggerita di tutti gli orpelli della terminologia scientifica, era che i giudici di gara non avrebbero mai consentito a un pugile sordo di salire sul ring, neppure se quel pugile era il detentore del titolo più prestigioso della boxe nazionale. Il destino di Gordon Chumball, dunque, quella porzione di destino che avrebbe dovuto consumarsi su di un ring, dipendeva dall’abilità del pugile nel preservare la segretezza della sua menomazione.
Con questi propositi, Gordon si era congedato dalla dottoressa per tornarsene a casa a meditare sul da farsi, magari aiutandosi con qualche bicchiere di whisky. La sua intenzione era di affogare i suoi guai nell’alcool, un rimedio infallibile che nessun medico poteva prescrivere. Avrebbe tirato qualche pugno al punching ball, tanto per avere l’impressione di essere ancora un pugile, e si sarebbe accasciato sul divano, con la speranza di addormentarsi e di risvegliarsi con i postumi di una sbronza, meglio se con un nuovo paio di orecchie funzionanti.
Il suo programma, però, aveva subito un brusco ritardo, e il rendez-vou con il whisky era stato rimandato a causa di un incontro fortuito. Un incontro che sarebbe stato meglio evitare per mantenere il riserbo sulla sua condizione.
Tutto questo accadeva a sette giorni dal match per la difesa del titolo.

Abbiate ancora un po’ di pazienza, e vi svelerò i fatti capitati a Gordon all’interno di una clinica privata, per ora vi basti sapere che il campione dei pesi massimi non ha ancora avuto modo di uscire con la bella dottoressa, ma che ha testato più volte la bontà della sua cura personale a base di scotch whisky.

 
TERZO ROUND

 
Concediamoci un altro breve viaggio nel tempo, e torniamo al Liberty College di Castletown dove c’era una ragazza che urlava e un promettente pugile che le correva in aiuto. La ragazza in questione, se ancora non lo avete capito, era la bella Wendy, alle prese con uno dei rappresentanti più disgustosi del genere umano. Qualcuno la stava violentando.
Reginald, come ho avuto modo di ricordarvi, era troppo lontano per soccorrere la fidanzata, quindi toccò a Teodor Redgrave mettere in fuga lo stupratore e aiutare la studentessa che amava segretamente.
Mostrando un tempismo perfetto, il giovane atleta seppe sfruttare al meglio la situazione, e riuscì a tramutare un evento tragico nel preambolo del suo futuro fidanzamento con Wendy. Carpe diem.
Per la ragazza, al contrario, i fatti dolorosi di quella sera ebbero strascichi pesanti. L’umiliazione per la violenza subita, infatti, crebbe di pari passo con gli sguardi idioti della gente, finché Wendy si ritrovò schiacciata dal riverbero di un crimine di cui era stata vittima due volte, per la follia di uno e i pregiudizi di tanti.
Il fatto, poi, di non essere stata in grado di riconoscere il suo stupratore contribuì a peggiorare una situazione già delicata. La storia della studentessa violentata fece il giro della Nazione, e Wendy vide realizzate le sue ambizioni professionali nel modo peggiore, e in quello più contorto. Passare dalla redazione di un giornale universitario alle prime pagine dei maggiori quotidiani fu facile e al tempo stesso penoso. Nulla poté impedire che la ragazza subisse l’onta del calvario mediatico che ebbe origine dalla sua triste storia, e perfino i professori, che per primi le avevano fatto intravedere lo spiraglio di un futuro prestigioso, si defilarono quando questa, suo malgrado, decise di abbandonare gli studi.
Neanche l’amore di Reginald resse all’impatto con quella vicenda terribile, e fu così che, prima dell’estate, Teodor Redgrave stravolse il copione della commedia e conquistò l’affascinante ragazza inarrivabile. Due anni dopo i due si sposarono e andarono a vivere in una casa in periferia, la stessa in cui oggi Wendy si è svegliata da sola, in un letto troppo grande.
Wendy non ha mai amato suo marito, si è sentita in dovere di sposare il solo uomo che le è rimasto vicino durante il periodo più brutto della sua vita. Il matrimonio è stata una scelta obbligata, un pegno pagato per il quieto vivere e per un briciolo di serenità. L’amore non c’entrava.
Teodor, d’altro canto, una volta afferrata l’unica preda che sembrava incapace di ghermire, non aveva tardato a dimenticare il giuramento fatto davanti a Dio il giorno del matrimonio, ed era tornato a indossare i panni stereotipati del bullo senza cervello. E tutto mentre mieteva un successo dietro l’altro sui ring di tutta la Nazione.
La sola a pagare la scelta avventata di sposarsi è stata Wendy, che per evadere da una trappola è finita in un’altra ancora più dolorosa, una trappola dalla quale è uscita da soli tre giorni, da quando ha sbattuto Teodor fuori di casa.
A proposito di trappole, che ne dite di andare a guardare all’interno di quella in cui è rinchiusa una nostra vecchia conoscenza?
 

QUARTO ROUND


 Siamo di nuovo nella stanza buia. Il prigioniero respira affannosamente, eppure non sembra disorientato come ci aspetteremmo che fosse la vittima di un rapimento. Se non fosse per il nastro adesivo sulla bocca e per i legacci che gli stringono i polsi e le caviglie, il nostro amico sembrerebbe addirittura a suo agio nel suo luogo di reclusione, come se fosse a casa sua, in una posizione scomoda, ma pur sempre a casa sua.
In effetti, quest’uomo è a casa sua, segregato non in un fetido nascondiglio, ma tra le mura domestiche che per tanti anni lo hanno accolto e protetto. Per lui non deve essere piacevole subire una tale offesa proprio nel luogo che credeva essere il più sicuro, è un controsenso, un paradosso come in quei turpi fatti di cronaca in cui i membri di una famiglia si ammazzano a vicenda. Cane mangia cane.
L’unica finestra della stanza è sprangata dall’esterno e non un solo raggio di luce penetra l’oscurità, tuttavia il prigioniero sa perfettamente dove si trova, percepisce attraverso la memoria i confini delle pareti di legno, ne sente l’odore. Così come sente ancora l’odore di whisky dell’alito del suo aggressore.
Alle spalle, è stato colpito alle spalle, e poi si è ritrovato legato in camera sua, vittima inerme del gesto di un pazzo che non è riuscito a vedere in volto. Come Wendy, anche quest’uomo ha subito una violenza da parte di qualcuno che non si è fatto riconoscere, e questa non è la sola circostanza che lo accomuna con la signora Redgrave.
Il prigioniero non ha nemici, non pensa di averne perlomeno, e fino a poche ore fa si sarebbe detto convinto di essere l’uomo più amato della città. E lasciate che ve lo dica, questo è veramente l’uomo più amato di Castletown, una persona affabile che rispettano tutti. Beh, tutti tranne un misterioso individuo dall’alito che puzza di whisky.
Gordon Chumball si riempie l’ennesimo bicchiere di whisky. Ad alta voce giura che sarà l’ultimo, ma a giudicare da quello che ha passato, e da quello che ancora dovrà passare, potrei azzardare che avrà qualche difficoltà a rispettare la promessa. Bere lo aiuta a non pensare, e ora come ora il pugile ha davvero bisogno di non pensare.
La sordità, però, è un antidoto infallibile contro il tentativo di diluire con l’alcool i grattacapi che lo affliggono. I pensieri seguitano a parlargli nella testa, e non c’è nulla a distrarre la sua attenzione, nulla che il suo apparato uditivo compromesso possa captare, neppure la voce di Nick Fleischman che, dalla radio, continua a echeggiare tra le pareti di casa.
Tra qualche istante “The Voice” manderà in onda un vecchio pezzo di Kenny Rogers, un brano che Gordon adora, ma che questa volta non avrà alcun effetto sul suo morale e attraverserà in trasparenza l’aria attorno a lui.
E dire che la musica è sempre stata una sua grande passione, addirittura più forte della boxe, ormai ridotta a un’occupazione opprimente, un impegno lavorativo privo di quel fascino che pure, da giovane, lo ha spinto a indossare i guantoni.
A quarant’anni un pugile è al termine della carriera, e Gordon Chumball ha superato i quaranta già da un po’. Domani, qualunque cosa accada stasera, i suoi guantoni finiranno in soffitta assieme a qualche sogno infranto e a una manciata di rimpianti, domani il pugile dovrà trovarsi qualcos’altro da fare. La musica, per esempio. Fino a sette giorni fa Gordon sognava di potersi dedicare alla musica, gli sarebbe piaciuto incidere un disco, oppure collaborare con una radio locale, tutte ambizioni che oggi è costretto a ridimensionare davanti a un dubbio tormentoso. Quante possibilità di affermarsi può avere un musicista sordo?
In passato ci sono stati alcuni precedenti incoraggianti, ma Gordon ritiene improbabile poter ricalcare le orme di Ludwig van Beethoven, improbabile e anacronistico. Le classifiche discografiche potrebbero restargli precluse per sempre, tuttavia questa è una faccenda che affronterà più avanti, fino a stasera sono altre le classifiche di cui deve preoccuparsi. Il pugile con smanie da musicista è ancora il campione nazionale dei pesi massimi, e ha tutta l’intenzione di terminare la sua carriera con una vittoria.

Trentotto incontri ufficiali e nessuna sconfitta, questo è il record invidiabile di un campione che chiede solo di ritirarsi da imbattuto, un obiettivo facilmente raggiungibile, a patto di riuscire a tenere nascosto un improvviso problema uditivo. Già, perché se i giudici di gara scoprissero la sua sordità, l’incontro salterebbe e lui perderebbe il titolo a tavolino. Inopportuno, improponibile.
Gordon si lascia cadere sulla sua poltrona preferita. La fronte è madida di sudore, le labbra umide di whisky. Distrattamente raccoglie da terra il giornale di ieri, rimasto aperto sulla pagina dello sport. Leggere le sue imprese sui quotidiani non gli fa più alcun effetto, eppure c’è qualcosa nel titolo di un articolo che lo infastidisce, qualcosa che ha a che fare con l’aggettivo che accompagna il suo nome.
Negli anni è stato definito in tanti modi, ma i tempi di Gordon “lo spietato”, o del “favoloso pugno d’acciaio”, sono troppo lontani per alleviare l’amarezza che gli provoca la lettura dell’ultimo appellativo che gli è stato affibbiato. Il giornale finisce per terra e noi ne approfittiamo per andare a sbirciare tra le pagine spiegazzate.
Il vecchio Gordon Chumball difende il titolo dei pesi massimi contro Teodor Redgrave.
Con ciò che abbiamo appena letto, il quadro è quasi completo. Tutti i personaggi, quelli principali perlomeno, sono stati presentati, e ognuno di loro ha avuto la giusta collocazione all’interno della vicenda. Ogni attore ha ricevuto un ruolo da recitare su questo palcoscenico e ora, se avrete la bontà di continuare a seguirmi, andremo a valutare la performance di Teodor Redgrave, un personaggio che soltanto adesso, complice una pagina di giornale, scopriamo essere lo sfidante di Gordon Chumball per il titolo nazionale dei pesi massimi.

 
QUINTO ROUND


Siamo in una camera d’albergo. Teodor Redgrave siede su di una poltrona sgangherata e stringe tra le mani una pagina di giornale che abbiamo già letto.

«Vecchio» sghignazza, rileggendo ad alta voce il titolo del quotidiano. «Poveraccio! Non ha alcuna speranza… lo mando a tappeto con un pugno solo…»
«Lo manda a tappeto con un pugno solo!» gli fa eco alla radio Nick Fleischman come se avesse ascoltato le parole del pugile. «Sì, amici radioascoltatori, Teodor Redgrave chiuderà la pratica per il titolo con un pugno solo.»
«Dici bene, amico mio» ribatte Teodor. «Non ti deluderò, non deluderò nessuno dei miei ammiratori, non nella mia città.»

Ecco un altro particolare di cui tenere conto: l’incontro di boxe si svolgerà qui, nella Tyson Arena di Castletown, a poche centinaia di metri dal Liberty College dove Teodor Redgrave ha cominciato a tirare i primi pugni su di un ring.

Come il suo giovane sfidante, anche Gordon Chumball è nato a Castletown, ma i suoi studi si sono conclusi molto prima del college. La sua famiglia non aveva i soldi per farlo studiare e, ad essere sinceri, Gordon provava una certa repulsione per i libri. Lui preferiva la palestra, gli allenamenti e i combattimenti clandestini che, di tanto in tanto, venivano organizzati negli scantinati degli edifici abbandonati o in qualche fabbrica dismessa.
Proprio durante uno di quei match, Gordon fu notato da un procuratore sportivo che lo introdusse nel circuito della boxe professionistica. Aveva diciotto anni, una buona resistenza e un destro micidiale, e tre anni più tardi il titolo dei pesi massimi era suo.
Nonostante i velenosi commenti che oggi possiamo sentire alla radio o leggere sul giornale, a quei tempi Gordon Chumball era un eroe popolare, la dimostrazione che un ragazzo di periferia poteva conquistare la gloria prendendo a cazzotti i pugili più rinomati.
Perfino Teodor Redgrave provava una forte ammirazione per il suo concittadino, e la sua camera nel dormitorio del Liberty College era tappezzata dai poster del “favoloso pugno d’acciaio”. Questo fino al giorno in cui anche lui decise di intraprendere la carriera del pugilato professionistico. In quel momento, quando la fama e la fortuna economica cominciarono a dipendere dalla forza dei suoi pugni, l’ammirato campione divenne un rivale, un obiettivo da abbattere, il sovrano da spodestare.

«È per stasera, Gordon» commenta Teodor. «Stasera tutti conosceranno il nome del nuovo campione dei massimi. Tu sei al capolinea, mentre io sono solo all’inizio del viaggio…»

C’è determinazione nelle parole del pugile, grinta e determinazione, eppure non possiamo fare a meno di notare un velo di tristezza sul suo viso. Credo dipenda dal fatto che sia ospite di uno squallido albergo nel giorno della consacrazione del suo successo. Sono quasi le nove e il potenziale vincitore del titolo più ambito dai pugili professionisti è solo, in un letto che non è il suo, in una camera che non è la sua.

«Wendy, è colpa di Wendy!» pensa Teodor ad alta voce.
Sua moglie non avrebbe dovuto cacciarlo di casa, non in un frangente tanto cruciale per la sua carriera. Dopotutto, il pugile aveva abituato la sua consorte a una condotta matrimoniale tutt’altro che esemplare, dunque perché scandalizzarsi tanto davanti all’ennesima dimostrazione della sua infedeltà? Cosa c’era di diverso questa volta?
Per capire cosa abbia portato Wendy a cacciare di casa Teodor dobbiamo tornare a farle visita. Anche per lei questo sarà un giorno cruciale, sebbene il suo destino si compirà lontano da un ring.

 
SESTO ROUND


Wendy ha finito di rifarsi il letto. Sembra nervosa, ma il suo stato non dipende dalla mancanza del marito. Come vi ho spiegato, la donna non è triste per l’assenza di Teodor, la sua agitazione è dovuta a un paio di faccende inderogabili che ha deciso di compiere questa mattina. La prima riguarda un famoso giornalista radiofonico, l’altra lo sceriffo di Castletown.
Wendy non ha mai avuto problemi con la legge, e l’unica volta che ha varcato la soglia del posto di polizia è stato per denunciare una violenza tremenda. In quell’occasione fu Teodor ad accompagnarla, oggi dovrà andarci da sola.
Da sola. Quanto le faceva paura il college di sera quando era costretta ad andarci da sola! I vialetti nel parco dell’istituto erano sempre bui, e attraversarli dopo il calare del sole rappresentava un’impresa sconsigliabile per chiunque, specialmente per una bella ragazza indifesa. Purtroppo gli impegni con la redazione del Liberty Review tenevano Wendy occupata fino a tarda sera, e una di quelle sere le fu fatale.
Vi siete mai chiesti se il sapore di un cibo sia lo stesso per tutti? E i colori cambiano forse tonalità a seconda degli occhi di chi li osserva? Non sono in grado di rispondere a queste domande, però posso concedervi il privilegio della visione multipla di una scena che avete già visto attraverso gli occhi di un pugile, una scena cruenta che ora voglio mostrarvi con gli occhi della protagonista, gli occhi della vittima.

Liberty College, una calda sera di maggio, ancora una volta.

Wendy era appena uscita dalla sede del giornale universitario quando si accorse di essere seguita. In principio pensò si trattasse di uno dei gatti randagi che, soprattutto all’imbrunire, frequentavano i giardini del college in cerca di piccole prede, poi i crepitii alle sue spalle si fecero più insistenti e iniziò a correre senza voltarsi. Nessun gatto avrebbe potuto fare tanto rumore.
La corsa della studentessa fu frenata a due passi dall’ingresso della palestra dell’istituto, vicino a un grande platano all’ombra del quale il suo aggressore poté compiere i suoi turpi piani indisturbato. Quasi indisturbato.
Come ormai dovreste sapere, il propiziatorio intervento di Teodor Redgrave mise in fuga lo stupratore, ma, per quanto tempestivo, non fu sufficiente a evitare che la ragazza fosse violentata.
Nei giorni che seguirono la sciagura, prima in ospedale, poi al posto di polizia, Wendy dovette rispondere a interminabili interrogatori, e ogni domanda che le veniva posta la costringeva a rivivere la violenza subita da parte di uno sconosciuto. Uno sconosciuto che non aveva visto in faccia. L’aggressore, infatti, indossava un passamontagna, e questo gli consentì di restare impunito dopo il sordido delitto. L’unico particolare che la povera Wendy ricordava, un particolare che non avrebbe scordato per il resto della vita, era il tatuaggio che lo stupratore aveva sul petto. Un drago verde.
Teodor Redgrave non aveva notato nulla che potesse aiutare la polizia nelle indagini, per lui il solo fatto di essersi precipitato in aiuto di una donzella in pericolo era un gesto più che valoroso, anche se non aveva visto tatuaggi o draghi colorati.
Occhi diversi, particolari diversi.
Nei mesi che seguirono quei fatti vergognosi, Teodor si mostrò adorabile nei confronti della sventurata compagna, e il suo affetto diede i suoi frutti due anni dopo, sul sagrato della cattedrale di Castletown.
Vi ho esposto le ragioni che portarono Wendy ad accettare la corte del giovane pugile, ma devo aggiungere che Teodor fu straordinariamente abile a mascherare la sua vera indole, adattando e smussando il suo carattere per vincere la diffidenza della ragazza. Come sul ring, Teodor simulò qualità che non aveva, finse, bluffò, e seppe conquistare così un trofeo che sembrava inafferrabile.
Per accattivarsi le simpatie di Wendy, il pugile comprò perfino una pistola e, sebbene una Colt Python non fosse un’arma adatta a una donna, volle che sua moglie imparasse a sparare perché potesse difendersi in caso di una nuova, malaugurata aggressione. Intendiamoci bene, Wendy non è mai diventata un cecchino infallibile, ma state pur certi che quando c’era un barattolo o una bottiglia da centrare la donna difficilmente mancava il bersaglio, nonostante dovesse mantenere la pistola con entrambe le mani.

Per i primi mesi il matrimonio sembrò funzionare, poi, quando la carriera prese il sopravvento sulla vita privata del pugile, Wendy vide progressivamente scemare l’interesse di Teodor nei suoi confronti, e alla fine si ritrovò più sola che mai, vittima ancora una volta dell’egoismo degli uomini. Tutto ciò senza menzionare le tante relazioni extraconiugali di suo marito, quelle facevano parte del suo ruolo di moglie delusa, erano stonature da sopportare in silenzio, almeno finché non ne capitò una troppo rumorosa.
Che Teodor la tradisse era fuori discussione, ma il fatto di averlo sorpreso a letto con un uomo ha rappresentato per Wendy un fatto intollerabile. Intendiamoci bene, dopo anni di tradimenti le preferenze sessuali di Teodor la lasciavano del tutto indifferente, però l’aver scoperto l’identità dell’amante di suo marito è stata una rivelazione sconvolgente, e non solo perché Wendy ha visto Teodor a letto con il suo manager.
Joel, il figlio dello speaker radiofonico Nick “The Voice” Fleischman, lavora per Teodor dai tempi del college, ma solo ultimamente i suoi interessi professionali hanno invaso anche la sfera degli affetti personali. Davanti allo sguardo incredulo di Wendy.

È successo tre giorni fa, durante un pomeriggio troppo afoso per starsene chiusi in palestra ad allenarsi. Wendy era rientrata in casa in anticipo, giusto in tempo per sorprendere Teodor e Joel che amoreggiavano nel suo letto matrimoniale. La scena, tutto sommato buffa, aveva assunto i connotati di un dramma quando Joel Fleischman, nel tentativo di abbandonare l’appartamento il più in fretta possibile, era sgusciato accanto alla donna mezzo nudo. Il manager aveva tenuto gli occhi bassi per evitare di essere visto in faccia, eppure Wendy era riuscita ugualmente a vedere qualcosa che l’aveva fatta infuriare. La signora Redgrave aveva indugiato con lo sguardo sul petto dell’uomo, attratta da un tatuaggio che sperava di non dover mai più rivedere. Un drago verde.

 
SETTIMO ROUND


Sono le nove e dieci. Teodor Redgrave esce dall’albergo visibilmente irritato. Ha provato a contattare Joel per oltre un’ora senza riuscirci, e adesso si appresta ad assolvere personalmente un impegno urgente. Per essere sicuro di ottenere il titolo dei pesi massimi, il pugile ha bisogno di un ingrediente fondamentale per la sua dieta, un genere di pietanza che non servono ai ristoranti e che gli aveva sempre procurato il suo manager.
L’uso della cocaina è tristemente comprovato nello sport agonistico, e neanche la boxe è del tutto esente da questo tipo di pratiche insulse. Certo, i controlli antidoping non sono un ostacolo trascurabile per chi intenda migliorare le proprie prestazioni con qualche intruglio venefico, eppure fino ad oggi Teodor è riuscito a nascondere il segreto dei suoi impressionanti successi, e quello della relazione particolare che lo lega al suo manager. Joel Fleischman è il vero artefice delle sue vittorie, ed è anche la sola persona che abbia mai amato veramente. Se solo rispondesse alle sue telefonate!

«Dannato cellulare!» sbraita nervoso Teodor.
Joel non si fa sentire da quando Wendy li ha sorpresi insieme. Tre giorni di silenzio, un intervallo troppo lungo per un uomo innamorato.
«Sei tranquillo?» gli aveva domandato Joel prima che la signora Redgrave irrompesse nella camera da letto.
«Tranquillo, sì» aveva replicato Teodor sorridendo. «Tranquillo e pronto a tirare pugni!»
«Bene. Mi aspetto di assistere a un bell’incontro…»
«E io mi aspetto di vincere» lo aveva interrotto il pugile. «Hai contattato lo spacciatore?»
«Non preoccuparti, penso a tutto io… prima di salire sul ring avrai la tua arma segreta!»
«Segreta… spero soltanto che resti tale per sempre. Hai idea dello scandalo che esploderebbe se qualcuno venisse a sapere che uso la cocaina per rendere più pesanti i miei pugni?!»
«Ti ho detto di non preoccuparti. Ho i miei agganci, le mie conoscenze. Se ti sottoponessero a un esame antidoping ne usciresti pulito, pulito e con il titolo dei pesi massimi sotto braccio!»
«Chi ti procura la roba?»
«Un amico.»
«Lo conosco?»
«No, non lo conosci… e credimi, è meglio così.»
«Perché, Joel?! Forse mi nascondi qualcosa?»
«Non fare il geloso! Non ho segreti con te, è solo che ci sono situazioni che per te è meglio evitare.»
«Forse hai ragione…»
«Fidati, è così. Ad ogni modo mi vedrò con lo spacciatore nel parco, vicino alle giostre per i bambini.»
«Che luogo romantico per un appuntamento! Perché non possiamo andarci insieme?!»
«Smettila con le idiozie Teodor! Sto solo cercando di proteggerti da uno scandalo.»
«Bel modo di farlo!» gli aveva ribattuto il pugile sorridendo. «Nudo, nel mio letto, al posto di Wendy!»
Anche Joel aveva sorriso. Le sue parole suonavano stonate in quel contesto, tutto suonava stonato ad eccezione dell’amore che li univa.
«E tua moglie?» aveva ripreso il manager.
«Mia moglie cosa?!»
«Non credi che sia un problema?»
«No, affatto. Lei non è un problema…»

In quell’istante Wendy era entrata nella camera da letto, lasciando a Joel Fleischman appena il tempo di fiondarsi fuori di casa in mutande. Il manager aveva cercato di fuggire lo sguardo della donna, temeva che questa riconoscesse in lui il ragazzo che l’aveva violentata dieci anni prima, ai piedi del grande platano del Liberty College. Un tatuaggio l’aveva tradito, ma questo Joel non poteva saperlo. Occhi diversi, particolari diversi.
Quella è stata l’ultima volta che Teodor ha visto il suo manager, il suo amante, e il suo fornitore personale di cocaina, ed è stata anche l’ultima volta che ha dormito nel suo letto.
In questo momento il pugile è nel parco di Castletown, intento a cercare uno spacciatore nei pressi delle giostre per i bambini.


OTTAVO ROUND


Milleduecento. Sono milleduecento le gocce che l’uomo più amato di Castletown ha contato fino ad ora. Quando si è rinchiusi in una stanza buia, un rubinetto che perde può diventare un passatempo efficace, un modo per misurare i minuti e l’estensione della propria paura.
Il nostro amico sta pensando che è stata una fortuna non aver riparato le tubature del bagno, se l’avesse fatto la sua prigionia sarebbe stata più silenziosa e più difficile da sopportare. È come contare le pecore, un diversivo monotono che può rivelarsi un sistema efficace per contrastare l’insonnia.
Alla milletrecentesima goccia il prigioniero chiude gli occhi, ancora poche gocce e comincerà a dormire, magari sognerà di essere steso nel suo letto e non legato a una sedia. I sogni, in fondo, non servono a evadere?
Sull’orologio a pendolo di casa Chumball milletrecento gocce corrispondono alle nove e trenta, ed è ora che Gordon si dia da fare per prepararsi al combattimento di stasera. L’ultimo combattimento della sua carriera.
Non sono molti i pugili che si sono ritirati da imbattuti, e Gordon Chumball ambisce a entrare nella ristretta schiera dei campioni che non hanno mai subito una sconfitta. È accaduto a James J. Jeffries, un gigante di cento chili che ha ceduto volontariamente il titolo quasi un secolo fa, e lo stesso ha fatto Rocky Marciano, che ha appeso i guantoni al chiodo dopo quarantanove incontri tutti vinti, quaranta dei quali conclusi prima del limite.
Gordon vorrebbe che il suo nome fosse affiancato a quello di questi illustri colleghi, un desiderio alla sua portata, visto che per poterlo realizzare gli basterebbe sconfiggere solo un altro avversario. Ancora una vittoria per entrare senza macchie nell’Olimpo della boxe.
Adesso, però, la preoccupazione più grande di Gordon riguarda la sordità che lo ha colpito a causa del gesto di un teppista, un handicap che potrebbe pregiudicare non solo l’esito del match, ma addirittura la possibilità di disputarlo.
D’altro canto, l’ipotesi di salire sul quadrato della Tyson Arena nelle sue attuali condizioni non è affatto una circostanza positiva. Boxare nel silenzio più assoluto potrebbe essergli fatale, un’impresa ostica perfino per un pugile esperto come lui. Provate solo a pensare all’eventualità di un conteggio da parte dell’arbitro. Nel caso favorevole di un suo vantaggio, Gordon non dovrebbe far altro che aspettare che l’avversario si rialzi, o che qualcuno venga a sollevargli il braccio in segno di vittoria. Ma se fosse lui a finire a tappeto, come farebbe a valutare il momento esatto in cui rimettersi in piedi? (ammesso che fosse in grado di farlo.) E il gong? Come potrebbe sentire il suono del gong se in questo istante non riesce neppure a sentire quello del campanello di casa?!

La signora Tumbingham vive da sempre nell’abitazione di fronte a quella di Gordon, e oggi ha deciso di protestare contro un vicino abituato ad ascoltare la radio a un volume eccessivamente alto. La donna, che non può sapere in quale assoluto silenzio viva il pugile, ha scelto di redarguire il suo dirimpettaio, anche se questo si chiama Gordon Chumball ed è il campione nazionale dei pesi massimi. Purtroppo, per quanto insistentemente la signora Tumbingham possa accanirsi sul campanello, la porta di casa Chumball è destinata a rimanere chiusa.
Dalla radio di Gordon un euforico Nick Fleischman annuncia a gran voce un brano di Dolly Parton, e questo, per la nervosa vicina di casa, è davvero troppo. Raccolta da terra una bottiglia di whisky vuota, il segno evidente della trascuratezza di un pugile al termine della carriera, la signora Tumbingham prende di mira la finestra di Gordon e la manda in frantumi con un tiro preciso. Giustizia è fatta.
Gordon non può percepire il rumore fragoroso alle sue spalle, ma vede la pioggia di vetri che lo investe all’improvviso, e vede i cocci di una bottiglia di scotch che era certo di aver lasciato in giardino. La scena risulta rumorosa anche per un sordo e il pugile, mostrando tutta la reattività imparata sul ring, scatta immediatamente in piedi e si chiude in difesa per predisporsi a incassare un montante.
L’attesa, però, è vana e Gordon abbassa la guardia e si precipita ad aprire la porta di casa, con la speranza di sorprendere il vandalo che gli ha fracassato la finestra del soggiorno. La signora Tumbingham, nel frattempo, ha avuto il tempo di tornarsene a casa, e fuori non c’è più nessuno ad attendere il pugile. In giardino ogni cosa è esattamente come Gordon l’aveva lasciata, niente vandali, niente stonature, ad eccezione di una copia del giornale posata davanti alla porta di casa. E per uno che non si è mai abbonato al Castletown News questa è un’anomalia singolare, soprattutto se in prima pagina c’è una foto di Gordon Chumball in compagnia di Nick “The Voice” Fleischman.

Se sapeste quello che so io, capireste esattamente la ragione del panico che si sta allargando sul viso del pugile, panico che è strettamente connesso con la foto sul quotidiano. Per ora, accontentatevi di sapere che quel giornale davanti all’uscio di casa ha portato Gordon a rivalutare l’episodio della finestra infranta. Il gesto di un’anziana signora esasperata è diventato, ai suoi occhi, una minaccia pianificata.

«Qualcuno sa…» pensa Gordon rientrando in casa «qualcuno sa tutto, e vuole spaventarmi… mi minaccia sperando che faccia un passo falso.»
Ovviamente il nostro pugile non sa del rancore della sua vicina di casa, e non sa che esiste un’altra ragione per spiegare la presenza di una copia del Castletown News davanti alla porta di casa. Una ragione da ricercarsi nella scarsa mira del ragazzo che consegna i giornali piuttosto che nelle minacce di un fantomatico nemico invisibile. Un banale errore nella valutazione della traiettoria del lancio e il giornale destinato alla signora Tumbingham è finito nel suo giardino.
«Ormai il titolo è compromesso!» continua a pensare il pugile stringendo il quotidiano tra le mani tremanti. «Ora tutti sapranno che conosco quel giornalista, e quando i nodi verranno al pettine non sarà difficile risalire a me. È solo questione di ore, magari non mi lasceranno neppure il tempo di salire sul ring.»
A questo punto avrete intuito che Gordon Chumball nasconde un segreto, un segreto ben più grave della sua sordità, qualcosa che si augurava passasse in sordina, e spero vogliate perdonarmi il gioco di parole!
«Il male minore…» sbotta il pugile ad alta voce senza poter ascoltare il suono delle parole che fuoriescono dalla sua bocca. «Adesso la diffusione della notizia della mia sordità sarebbe il male minore… ma forse non tutto è perduto, forse c’è ancora tempo, tempo per rimediare…»
È con questi oscuri progetti che Gordon esce di casa e si allontana a bordo della sua nuova Porsche, un regalo che si è potuto concedere grazie a una lunga serie di vittorie sui ring di tutto il Paese. Il pugile è diretto in un posto che noi abbiamo già visto, e ha intenzione di concludere un lavoro che ha lasciato in sospeso la scorsa notte, una notte movimentata.

 
NONO ROUND

 
Anche Wendy Redgrave esce di casa. Ha due appuntamenti ai quali non può assolutamente mancare, due appuntamenti da cui dipende il futuro della sua vita, e di quella del suo fedifrago compagno. Per ora ci occuperemo del primo incontro programmato dalla donna, un colloquio informale con Nick “The Voice” Fleischman, il giornalista al quale Wendy ha promesso di rivelare particolari compromettenti sulla vita privata di suo marito.
Joel, il figlio di “The Voice”, è l’amante di Teodor, ma non è questa la notizia che la donna vuole confidare allo speaker radiofonico. È della droga che Wendy vuole parlare, della cocaina che suo marito consuma abitualmente per essere competitivo nei combattimenti. Teodor non ha mai nascosto alla moglie la sua passione per la polverina bianca e ora, per quella sua leggerezza, rischia di vedere compromesso il prosieguo della sua carriera.
Nick Fleischman non si farà certo sfuggire l’occasione di infangare il nome del pugile, anche se rendere pubblica una notizia del genere potrebbe pregiudicare il lavoro di suo figlio. In qualità di manager di Teodor Redgrave, infatti, Joel dovrà sicuramente cercarsi un nuovo impiego se la storia venisse a galla, ma questo, per un giornalista navigato come “The Voice”, non è che il giusto prezzo da pagare per onorare Giustizia e Verità. E comunque, come vedrete tra un po’, Joel Fleischman non avrà più bisogno di lavorare.
Sono le dieci e mezza quando Wendy imbocca la Pacific Highway in direzione della KBHR, l’emittente radiofonica dove lavora “The Voice”. Tra una manciata di minuti, traffico permettendo, la donna potrà finalmente compiere una parte della sua vendetta, l’altra, la più crudele, è già stata consumata, sebbene gli effetti li scopriremo solo più avanti, quando ci occuperemo del secondo appuntamento della signora Redgrave.
Wendy sta guidando l’auto del marito e la cosa le provoca una certa soddisfazione. Le piace aggredire l’asfalto al volante di una Pontiac Firebird del ‘69, una libertà che Teodor non le ha mai concesso e che adesso, senza neanche dover chiedere il permesso, si prende come ricompensa per la devozione mostrata verso un uomo fedele più ai vizi che agli obblighi matrimoniali.
I pugili hanno una passione spiccata per le auto sportive, e se il detentore del titolo dei pesi massimi preferisce le macchine europee, Teodor Redgrave ha una predilezione patriottica per quelle americane. Due differenti espressioni della stessa passione che abbiamo la possibilità di vedere affiancate quando, sulla stessa strada ma in direzioni opposte, le auto dei pugili si incrociano per un istante.

Approfittiamo di questa circostanza fortuita per abbandonare la Pontiac guidata da Wendy e saltare a bordo della Porsche di Gordon Chumball. Voglio farvi vedere dove è diretto l’uomo che poco fa ha espresso l’intenzione di completare un lavoro lasciato in sospeso.

 
DECIMO ROUND


La scena si sposta in un cottage situato nella campagna alla periferia di Castletown. All’interno della costruzione, in una stanza buia, un personaggio che conosciamo si è appena svegliato, e ha ricominciato a contare le gocce di un rubinetto che perde.

Durante la pausa in cui è rimasto privo di coscienza, il conteggio ha subito una brusca interruzione, tuttavia ho provveduto ad aggiornare i suoi calcoli e posso affermare, con una buona approssimazione, che siamo arrivati alla duemilatrecentesima goccia. Ancora un paio di gocce e una Porsche nuova di zecca viene a parcheggiarsi nel vialetto antistante l’edificio.
Gordon Chumball esce dall’auto e, dopo essersi guardato attorno con circospezione, si appresta ad aprire la porta del cottage. È teso come se dovesse salire sul ring, teso e nervoso come alla vigilia del suo primo incontro da professionista.
Era il 1982 e aveva soltanto diciotto anni. Da quel giorno la sua vita è stata un susseguirsi di cazzotti, dentro e fuori dal ring, con o senza guantoni. Gordon è diventato una leggenda, ma ha dovuto pagare a caro prezzo i suoi trionfi, un prezzo che porta stampato sul viso segnato dalle cicatrici e nella sua testa insonorizzata.
Di tutti i cazzotti presi, e di tutti quelli dati, è soltanto uno, però, che non riesce a dimenticare, e la certezza che non ci saranno rivincite per rispondere a quel pugno che lo ha reso sordo brucia come la più schiacciante delle sconfitte. Per il resto dei suoi giorni, il boxeur dovrà sopportare l’onta di essere stato battuto da un balordo in cerca di soldi facili, magari per comprarsi una dose di cocaina.

In questo momento c’è qualcun altro interessato a una dose di polverina bianca, un uomo che avevamo lasciato nel parco di Castletown, vicino alle giostre per i bambini.

Senza cocaina Teodor Redgrave non ha alcuna speranza di battere Gordon Chumball, così come non ha alcuna speranza di resistere un solo round contro il detentore del titolo dei pesi massimi. Tutti sanno che Gordon è al termine della carriera, tuttavia gli ultimi pugni di un campione posseggono una forza particolare, una forza che un cocainomane in astinenza non potrebbe sopportare. È come se in quei pugni si concentrasse la forza maturata in tanti anni passati sul ring, una summa devastante di odio, forza e tenacia, che ogni grande pugile riserva per il suo match di addio. Se poi il match di addio è quello di un mito della boxe come Gordon Chumball, allora il nostro Teodor ha bisogno di un sostegno speciale per non sfigurare sul quadrato della Tyson Arena. È per questo motivo che il pugile è disperatamente alla ricerca di uno spacciatore nel parco di Castletown. Il suo colpo migliore è pure il più leggero, pochi milligrammi da assumere prima di indossare i guantoni.
Che la cocaina abbia effetti evidenti sulle prestazioni di un atleta è innegabile, così come è innegabile che il ricorso a questo stimolante non sia propriamente ammesso dal regolamento della Federazione Nazionale di Boxe. Esiste una lista, redatta per la prima volta nel 1962 dal Comitato Internazionale Olimpico, nella quale l’uso della cocaina viene espressamente vietato nella pratica dello sport agonistico, eppure questo non impedisce ad atleti senza scrupoli di ricorrere al doping per migliorare il proprio rendimento. Lo hanno fatto in passato grossi nomi dello sport, lo fa oggi un pugile ambizioso che non teme gli effetti collaterali dell’uso massiccio delle droghe.
Teodor non si è mai occupato personalmente di procurarsi le dosi di cocaina, questo genere di affari è sempre toccato al suo manager, ma stamattina, non riuscendo a contattare Joel, è lui a doversi sporcare le mani con la parte più torbida del suo mestiere.

«Redgrave?!» Un ragazzo lo avvicina sorridente. «Tu sei Teodor Redgrave?!»
«Sì» risponde laconicamente il pugile.
«Grandioso!» ribatte l’altro. «Se l’anno scorso non avessi incontrato Julia Roberts, questa sarebbe la prima volta che parlo con una celebrità!»
«Buon per te. Io Julia Roberts non l’ho mai vista.»
«È una donna stupenda. Lo schermo del cinema non le rende giustizia.»
«Non faccio fatica a crederti.» Teodor è nervoso. «Anche se non vado al cinema da anni.»
«Lo so… te l’ho sentito dire in un’intervista radiofonica.»
«Era alla KBHR, il mese scorso, e l’intervista me l’ha fatta Nick Fleischman.»
«Esatto, Nick “The Voice” Fleischman, il miglior giornalista sportivo sulla piazza… se non sbaglio lui è il padre del tuo manager…»
«Non sbagli, Nick è il padre di Joel, e Joel lavora per me da tanti anni.» Il nervosismo di Teodor è addirittura palpabile.
«Sei pronto?» riprende il ragazzo.
«Pronto, sono prontissimo» replica Teodor cominciando ad armeggiare con il portfogli. «Ti dispiace fare in fretta?»
«Oh, scusami! Devo averti fatto perdere un sacco di tempo prezioso.»
«Non fa niente» lo interrompe seccato il pugile. «Ma ora facciamolo, facciamolo e torniamocene ai nostri affari.»
«Si… sicuro» balbetta l’altro. «Facciamolo, giusto.»
Il ragazzo tira fuori qualcosa dal suo zaino e la porge tra le mani del pugile.
Teodor abbozza un sorriso e poi, constatato che il portfogli è vuoto, ricomincia a parlare con un filo di voce.
«Scusami» biascica intimidito. «Non so proprio come scusarmi! È una situazione così imbarazzante…»
«Ti capisco» lo conforta l’altro. «Non tutte le celebrità sono avvezze a certe cose… pensa che perfino Julia Roberts ha esitato parecchio prima di concludere.»
«Julia Roberts?! Vuoi dire che hai dato questa roba anche a lei?!»
«Suvvia, Teodor! Non pretenderai di avere l’esclusiva!»
«No… non lo pretendo» si schermisce il pugile. «È solo che immaginavo ci fosse più riservatezza, più discrezione. Qui è in ballo il mio nome!»
«Ed io è proprio quello che voglio… nero su bianco.»
«Capisco, ma c’è un problema» dice Teodor mostrando il suo portafogli vuoto. «Non ho nulla qui con me.»
«Nessun problema» replica l’altro, che torna a rovistare all’interno dello zaino. «Sono preparato a questo tipo di inconvenienti.»
«Ecco, prendi» continua cordialmente. «Ora hai tutto ciò che ti occorre.»
Teodor osserva l’oggetto nella mano del ragazzo, poi, mentre l’imbarazzo dilaga sul suo viso infiammato, si concentra sul piccolo fardello che gli è stato consegnato precedentemente.
Un taccuino. Nelle sue mani c’è un minuscolo taccuino con qualcosa scarabocchiato sulla prima pagina.


Al mio amico Bruce
con affetto
Julia Roberts

 
«Bruce?!» Teodor afferra la penna che gli ha offerto il ragazzo.
«È il mio nome… se non ti dispiace, mi piacerebbe che mi facessi una dedica.»
«Una dedica, certo. Che razza di autografo sarebbe senza una dedica!»
«Sull’altra pagina!» si affretta a dire Bruce prima che Teodor cominci a scrivere. «Un solo nome per pagina, è la regola…»
«La regola, mi pare giusto» gli fa eco Teodor, ancora incredulo per l’esilarante piega che ha preso quello che credeva essere l’appuntamento con uno spacciatore e che, invece, si è rivelato l’incontro casuale con uno dei suoi numerosi fan.
«Al mio caro amico Bruce» annuncia il pugile consegnando l’autografo al ragazzo. «Spero vada bene.»
«Benissimo!» commenta l’altro. «Uno splendido regalo inaspettato. Ti ringrazio di cuore!»
«Figurati, per così poco!» si gongola Teodor. «Ora però devi scusarmi davvero, ho delle faccende urgenti da sbrigare e sono già in ritardo.»
«Non voglio trattenerti oltre.» Il ragazzo sembra un po’ perplesso, ma asseconda ugualmente il pugile. «In bocca al lupo per stasera… io faccio il tifo per te.»
«Grazie» risponde Teodor allontanandosi in tutta fretta.
Sono quasi le undici, il pugile non si è ancora procurato la roba e, cosa ancora più grave, si è appena reso conto di non avere soldi con sé.
Un quarto d’ora, gli ci vuole un quarto d’ora per andare a casa a recuperare qualche centone per lo spacciatore e un quarto d’ora per tornare al parco, non molto se si considera il tempo che ancora gli resta a disposizione prima di salire sul ring. Se poi si mettesse a correre potrebbe sbrigarsi in una ventina di minuti, forse addirittura meno se decidesse di forzare l’andatura. Dopotutto una corsa non può che avere effetti positivi sulla salute di un atleta.
Con simili ragionamenti a ronzargli nella testa, Teodor inizia a correre lungo il viale che attraversa il parco, sperando di tornare quanto prima e concludere l’affare che lo ha portato fin qui. Uno sportivo allenato è capace di sprint sorprendenti nella corsa, ma il nostro pugile non ha mai brillato per prontezza e velocità. Perfino sul ring i suoi movimenti sono sempre stati piuttosto impacciati, goffi oserei dire, e senza la sua proverbiale abilità nell’incassare colpi che avrebbero abbattuto pugili ben più esperti, la sua carriera sarebbe finita nell’anonimato della boxe dilettantistica. Teodor Redgrave è il più grande incassatore della storia del pugilato moderno, un colosso che nessuno è mai riuscito a sconfiggere e che, quando passa al contrattacco, sa scagliare bordate tanto sgraziate quanto micidiali. Poca tecnica dunque, nonostante gli anni passati a prepararsi con gli allenatori più competenti, ma una formidabile resistenza dovuta alla sua costituzione fisica e al supporto di una pista di coca da prendere prima degli incontri.

«Redgrave!» Una voce interrompe la corsa (e i pensieri) di Teodor prima che questi riesca a raggiungere l’uscita del parco.
Il pugile si volta per accertarsi dell’identità della persona che lo sta chiamando, e con sua sorpresa rivede la faccia dell’ammiratore che aveva salutato poco prima.
«Non dimentichi qualcosa?!» gli fa Bruce avvicinandosi rapidamente.
«Cazzo!» pensa Teodor accorgendosi della gaffe. «La penna! Ho dimenticato di rendergli la penna!»
Il pugile estrae da una tasca la biro che gli è stata offerta per firmare l’autografo e, prima di sprofondare del tutto nella vergogna, si affretta a raggiungere Bruce per restituirgliela.
«Perdonami!» si difende. «Oggi ho la testa tra le nuvole!»
«È comprensibile» ribatte il ragazzo. «Tra poche ore hai un incontro da vincere!»
«Da vincere, sì» replica Teodor porgendo la penna al suo legittimo proprietario. «Ecco, questa è tua…»
«Gra… grazie» farfuglia Bruce riappropriandosi della biro e afferrando Teodor per impedirgli di schizzare via.
«Cos’altro c’è ancora?!» si lamenta il pugile.
«Ti ringrazio di avermi restituito la penna» spiega il ragazzo. «Ma non è per questo che sono tornato a cercarti.»
«E per cosa? Per cosa sei tornato a cercarmi?!»
Bruce sorride mentre apre con accortezza il suo zaino, poi, estratto un piccolo involucro trasparente, ricomincia a parlare al pugile, questa volta con un tono di voce decisamente più basso, e meno confidenziale.
«Che fine ha fatto Joel?» domanda innervosito.
«Joel?!» Teodor ha ancora la testa tra le nuvole, e non a causa del match di stasera.
«Joel, sì! Joel Fleischman. Ho sempre trattato con lui.»
«Tu… tu hai trattato con Joel?!»
«Credevo lo sapessi. In fondo era per te la roba, non è vero?»
«La roba?! Ma allora tu sei…?»
«Io sono Bruce, sono il tuo fornitore di coca.»
«Pensavo fossi un mio ammiratore!»
«Sono anche quello. Non c’è nessuna legge che proibisce a un appassionato di boxe di fornire un supporto extra al suo beniamino!»
«È vero… nessuna legge.»
«Come mai non è venuto Joel questa volta?» domanda lo spacciatore mentre prepara una piccola confezione per il suo cliente più affezionato.
«Non ne ho idea» risponde sincero Teodor. «Non lo sento da un po’, e a dirla tutta comincio a preoccuparmi. È sempre stato un tipo preciso, puntuale…»
«Puntualissimo» conferma Bruce. «Non si è mai presentato in ritardo, è un piacere fare affari con lui… con te, voglio dire.»
«Un piacere reciproco» aggiunge Teodor nervosamente.
«Bene. Questa è la roba, fanne buon uso e stendi quel vecchio decrepito di Chumball!»
«I soldi…» riprende Teodor mortificato. «Non ho i soldi.»
«Comincio a rimpiangere la presenza di Joel!» ribatte l’altro sogghignando. «Vorrà dire che mi pagherai dopo l’incontro. E che nessuno dica che Bruce Chigliak non è un altruista!»
«Un altruista, vero. Sei un altruista, e un amico… non so proprio come ringraziarti.»
«Ti ho detto che a questo penseremo più tardi. Tu batti Chumball e intasca il premio del vincitore… ti assicuro che poi un modo di ringraziarmi lo troverai.»
«Capisco» ribatte mestamente Teodor ponendo in una tasca dei pantaloni la bustina con la droga. «Vedrai che non ti deluderò.»
«Non ho dubbi.» Lo spacciatore saluta e si volta per andar via.
«Solo un’altra cosa…» lo trattiene ancora il pugile.
«Dimmi.»
«Julia, Julia Roberts…»
«Julia Roberts, cosa?»
«Hai venduto la cocaina pure a lei?»
«Naaa!» sbuffa Bruce agitando un braccio davanti al viso. «A lei ho soltanto chiesto un autografo!»

Non sono tante le personalità di Castletown a cui la gente chiede autografi. Due di queste le abbiamo già conosciute, e stasera dovranno condividere lo stesso ring, un’altra lavora alla radio e tra dieci minuti ha un appuntamento con la signora Redgrave per un’intervista.
Wendy sta ascoltando “The Voice” dall’autoradio dell’auto di suo marito, generalmente le piace guidare ascoltando la musica, ma oggi ha deciso di fare un’eccezione e di sintonizzarsi sulle frequenze della KBHR per farsi un’idea dell’uomo che sta andando a incontrare.
La Pontiac Firebird attraversa a gran velocità il Tahoma Bridge diretta verso la sede dell’emittente radiofonica, un moderno grattacielo ad angolo tra Main Street e Westbridge Road. Davanti all’ingresso principale c’è un busto di bronzo di Guglielmo Marconi e il piazzale adibito a parcheggio.
La fuoriserie guidata da Wendy entra sgommando nello spiazzo e va a occupare uno dei posti destinati agli ospiti. Il fatto che la donna, parcheggiando, danneggi gravemente l’auto di Teodor non è dovuto alla sua incapacità di guidare, ma rappresenta solo un’anticipazione della vendetta che intende consumare grazie all’ausilio di un ripetitore radiofonico.

«Ti sputtano, Teodor!» blatera Wendy abbandonando la Pontiac con le chiavi ancora inserite. «Ti sputtano davanti a tutti! Così impari a rovinarmi la vita… così impari a tradirmi con il bastardo che mi ha violentata!»

In realtà Teodor non sa che Joel, oltre a essere il suo amante, il suo manager e il figlio di un famoso giornalista radiofonico, è anche un laido stupratore. Il pugile non è stato complice del reato che quell’uomo ha compiuto per verificare le sue inclinazioni sessuali, eppure questo non lo rende meno colpevole agli occhi di Wendy. Consapevole o no, Teodor è andato a letto con un criminale, e ciò basta a condannarlo, a ripudiarlo, a sputtanarlo.
Wendy entra nella sede della KBHR. Il grande orologio digitale sulla parete dell’androne segna le dieci e cinquantacinque. Mancano pochi minuti al termine della trasmissione di “The Voice”, direi giusto il tempo per un brano di Waylon Jennings, e per ricordare agli ascoltatori la trasmissione di stasera con la radiocronaca dell’incontro di boxe.
Wendy odia la musica country e odia la boxe, due condizioni che in altre circostanze l’avrebbero tenuta lontana dal posto in cui si trova adesso. A lei è sempre piaciuta la musica classica, ha una predilezione per Chopin e per il romanticismo francese, una passione che suo marito non ha mai condiviso, al pari di tutti gli altri interessi che è stata costretta ad accantonare per appoggiare le scelte di un pugile professionista.
Reginald Casper era diverso. A lui la musica classica piaceva, così come gli piaceva tutto ciò a cui Wendy ha dovuto rinunciare, quanto alla boxe, beh, quella lui si limitava a seguirla in televisione, insieme alle partite di football e alle rassegne cinematografiche.
Il brano alla radio è quasi finito mentre Wendy ripensa al suo vecchio fidanzato del college, forse con lui avrebbe potuto essere felice, forse l’affascinante ragazza inarrivabile avrebbe dovuto rispettare il copione e sposare l’intellettuale sfigato, forse.

«Amici della KBHR…» la voce di Nick Fleischman fuoriesce dagli altoparlanti piazzati ovunque all’interno dell’emittente radiofonica. «Con questo brano si conclude la trasmissione di oggi, ma il nostro appuntamento è soltanto rimandato…»
«Fa presto a chiudere!» sbotta nervosa Wendy rivolgendosi direttamente a un altoparlante. «Non puoi nemmeno immaginare la notizia che sono venuta a portarti.»
«Non potete nemmeno immaginare la grandezza dello spettacolo che vi aspetta stasera…» continua il giornalista facendo quasi il verso all’uscita di Wendy. «Per la prima volta, due figli di Castletown si affronteranno sul ring della Tyson Arena in un incontro valido per il titolo nazionale dei pesi massimi!»
«Io non ne sarei tanto sicura» commenta Wendy a bassa voce.
«In un angolo vedremo l’indiscusso campione del passato, il vecchio ma pur sempre temibile, Gordon Chumball!»
Se Gordon potesse ascoltare l’epiteto che accompagna il suo nome nel commento del giornalista sono convinto che i suoi pugni, e il suo orgoglio, non resterebbero impassibili.
«Nell’angolo opposto» prosegue “The Voice” «con un peso di novantuno chili e la resistenza di un toro da rodeo, avremo l’onore di ammirare il campione del futuro, la roccia umana…»
«Il porco traditore…» aggiunge Wendy mordendosi le labbra.
«…l’unico, vero campione di Castletown, Mr. Teodor Redgrave… Redgrave… Redgrave…»
“The Voice” balbetta, anzi sembra addirittura incantato come un obsoleto vinile in un giradischi.
Wendy sobbalza nel sentire ripetere all’infinito il nome del suo odiato marito. Per un attimo ha perfino pensato di accanirsi contro gli amplificatori che diffondono quel suono spregevole, poi, quando la sigla di coda della trasmissione radiofonica mette fine al vaniloquio meccanico di Nick Fleischman, la donna corre a informarsi presso gli uffici dell’emittente.
«Che diavolo è successo?!» domanda Wendy a un’austera segretaria.
«Mi scusi…» esordisce la donna. «Di cosa sta parlando?»
«Della trasmissione, della maledetta trasmissione di Nick Fleischman!»
«È finita, è finita proprio in questo momento.»
«Lo so, io mi riferisco al conduttore… dovrebbe intervistarmi tra poco.»
«Spiacente, “The Voice” non è qui. La trasmissione di oggi non era in diretta.»
«Vuole dire che ho ascoltato una cassetta registrata?»
«Un audio-CD, per essere precisi.»
«Che differenza vuole che faccia?!» si lamenta furiosa Wendy. «La voce di Fleischman era registrata?!»
«Tutti i venerdì. È per consentire al conduttore di prepararsi per le radiocronache della sera.»
«Ma io avevo un appuntamento!»
«Non so che dirle. “The Voice” non si fa sentire da ieri e, se posso farle una confessione, siamo tutti preoccupati… sa, senza di lui non abbiamo nessuno disposto a sostituirlo per la radiocronaca dell’incontro di boxe di stasera…»
«Non m’importa!» La interrompe Wendy sempre più nervosa. «Dove posso trovare il signor Fleischman? Dove abita?!»
«Mi spiace, non posso darle questa informazione, è per il rispetto della privacy. Se vuole, però, può lasciare un messaggio, farò in modo che “The Voice” lo riceva quanto prima.»
«Merda!»
«Vuole che dica questo al signor Fleischman?»
«No, cioè sì… faccia ciò che crede, anzi, gli dica che Teodor Redgrave è un fottuto drogato!»
Wendy abbandona in tutta fretta gli uffici della KBHR, è delusa, arrabbiata e delusa, e, prima di uscire dalla sede dell’emittente radiofonica, sfoga la sua rabbia inveendo contro l’iscrizione posta vicino all’uscita principale. Due righe scritte in caratteri dorati:


A Nick “The Voice” Fleischman
l’uomo più amato di Castletown.

 
UNDICESIMO ROUND


Unisci i puntini. Come in uno di quei semplici rompicapi sulle riviste di enigmistica, non ci resta che mettere insieme tutti i tasselli e ricostruire il puzzle. A cominciare dall’iscrizione nella sede della KBHR e da un cottage in campagna.
L’uomo più amato di Castletown è chiuso in una stanza buia, Nick “The Voice” Fleischman è chiuso in una stanza buia, e presto farà conoscenza con il suo carceriere. Le regole radiofoniche delle trasmissioni in differita hanno consentito alla sua voce di vagare liberamente per l’etere, ma, lontano dagli amplificatori delle radio, un nastro adesivo gli ha impedito di parlare per tutto il tempo in cui è stato prigioniero in casa sua.
Duemilatrecentodue, tante sono le gocce che Nick Fleischman è riuscito a contare durante la sua detenzione, e ora, mentre Gordon Chumball esce dalla sua Porsche e fa irruzione nel cottage, è giunto finalmente il momento di smettere di contare.
Nel vedere il pugile, “The Voice” capisce immediatamente che il motivo del suo rapimento è in un segreto di cui è venuto a conoscenza sette giorni fa, davanti all’ingresso di una clinica privata. Spero abbiate fatto tesoro del mio consiglio di non affezionarvi a questo personaggio, ancora qualche minuto e capirete il perché di quel mio suggerimento iniziale.

Il pugile sembra fuori di sé mentre strappa la striscia adesiva dalla bocca di “The Voice”.
«C’è ancora tempo…» si ripete mentalmente per farsi coraggio. «C’è ancora tempo per rimediare…»
«Chumball, tu?!» esordisce Nick Fleischman, sconcertato non appena riconquista la possibilità di parlare. «Perché? Perché mi fai questo?!»
Gordon non può sentirlo, ma non ha bisogno di ascoltare la voce del giornalista per intuire la natura delle sue parole, e quella del terrore che gli legge negli occhi.
«Ti ho giurato che non avrei detto nulla!» per l’ennesima volta Gordon è costretto a fronteggiare un pesce muto in un acquario.
«Non ho mai avuto intenzione di rivelare la tua sordità» riprende a boccheggiare il pesce-cronista. «È un segreto, il nostro segreto…»
«Ssst!» protesta il pugile poggiando l’indice della mano destra sulle labbra. «Qualcuno sa…»
La fotografia che lo ritrae assieme al giornalista sulla prima pagina del Castletown News continua a tormentarlo. Il segreto è svelato, il titolo compromesso.

I disturbi dell’udito sono quasi inevitabili per chi lavora in una radio, e Nick Fleischman è praticamente nato negli studi della KBHR. I problemi per lui sono cominciati qualche anno fa, quando al lavoro di giornalista radiofonico affiancava quello di musicista e dee-jay. Una questione di decibel e di inquinamento acustico.
Con il tempo, “The Voice” si era abituato ai fastidiosi ronzii che gli tenevano compagnia nei momenti, assai rari in verità, in cui il silenzio prendeva il posto delle radiocronache o dei brani di musica country. Aveva accettato quei disturbi come l’inevitabile dazio da pagare per una vita vissuta “ad alto volume” e, stoicamente, si era rassegnato a convivere con uno sciame di vespe nelle orecchie. Finché non era venuto a fargli visita suo figlio.
Lavorando come manager di Teodor Redgrave, Joel era in contatto con i più importanti studi medici dello Stato. I pugili devono ricorrere spesso alla medicina, e ogni buon manager non può non avere sull’agenda i numeri dei migliori specialisti per curare i propri assistiti.
Quella volta Joel, senza neanche sfogliare la rubrica telefonica, aveva fissato per suo padre un appuntamento con una fascinosa dottoressa, e così “The Voice”, inconsapevolmente, era finito in cura dallo stesso medico di Gordon Chumball.
Sebbene per lui non c’erano state uscite galanti da programmare, l’ultima visita medica di Nick Fleischman aveva avuto la stessa spiacevole conclusione che era toccata al pugile. E non sto parlando del referto lasciato dalla dottoressa più graziosa di Castletown.
La settimana scorsa, infatti, “The Voice” aveva intravisto Gordon nella sala d’aspetto della clinica presso la quale era in cura. Il giornalista aveva provato invano ad attirare l’attenzione del pugile, lo aveva anche chiamato a gran voce senza che questi lo notasse e, alla fine, lo aveva visto entrare nello studio dell’otorino, lo stesso dal quale lui era appena uscito. Solo allora Nick Fleischman aveva scoperto il segreto del detentore del titolo dei pesi massimi. Sordità sensorineurale.
“The Voice” aveva atteso che Gordon finisse la sua visita e poi lo aveva affrontato a viso aperto per chiedergli spiegazioni. Indubbiamente quello era stato un errore imperdonabile, un errore che gli sarebbe costato molto caro.
Il pugile, più con i gesti che a parole, aveva supplicato “The Voice” di non parlare alla radio della sua sordità, e lo speaker, rinunciando a uno scoop clamoroso, si era dichiarato disposto a mantenere segreta la questione. Da parte sua, Gordon aveva inizialmente creduto alla buona fede del suo interlocutore, poi, alla vigilia del match per la difesa del titolo, era stato sopraffatto dalla paura ed era andato a fare una visita non programmata al giornalista.
Con un pugno alla nuca aveva steso Nick Fleischman mentre questi stava rincasando dopo una giornata di lavoro, quindi, mostrando una freddezza che credeva di possedere solo sul ring, lo aveva legato e imbavagliato ed era andato via.
In quel modo, Gordon era certo che “The Voice” avrebbe mantenuto la bocca chiusa fino alla fine dell’incontro di boxe. Una volta concluso il combattimento, poi, avrebbe avvisato la polizia con una telefonata anonima, e il giornalista sarebbe tornato in libertà senza che avesse alcun sospetto sull’identità del suo rapitore.
A giochi fatti, tutto si sarebbe concluso con un misfatto inoffensivo, un piccolo peccato veniale che non avrebbe lasciato tracce, se non fossero intervenuti gli episodi di questa mattina a far degenerare un piano che non prevedeva una conclusione cruenta.
Una finestra rotta da una vicina esasperata, e un giornale con una foto compromettente che in realtà risale a una vecchia intervista alla KBHR, sono bastati a far saltare i nervi già provati di Gordon Chumball, che è finito con il prendere una decisione drammatica pur di assicurarsi il silenzio di un noto speaker radiofonico.
Troppi dubbi per lasciare tutto in sospeso, troppi rischi per non cercare di risolvere definitivamente la situazione. Per questo motivo Gordon è tornato nel cottage del giornalista, e per questo motivo ha sostituito il punching ball con la faccia di Nick Fleischman nell’allenamento di rifinitura prima dell’incontro di stasera.

«Chumb… Chumball… Chumball…» Per la seconda volta la voce del giornalista si è incantata, ma i balbettii che stiamo ascoltando in questo momento non dipendono da un problema meccanico o da un CD difettoso. “The Voice” tartaglia frasi smozzicate nei brevi intervalli che intercorrono tra un cazzotto e l’altro e, quando la cadenza dei colpi diventa insostenibile anche solo per sincronizzare i pensieri con la bocca, le sue parole perdono consistenza e si trasformano in rantoli penosi.
Gordon continua a picchiare duro mentre il giornalista risponde a ogni pugno con un gemito misto a lacrime e sangue, e questo è l’estremo tentativo di un moribondo di supplicare pietà di fronte al suo carnefice. Una supplica convincente a dire il vero, ma che lascia del tutto indifferente un pugile sordo e per di più accecato dalla rabbia.
Gordon è un boia insensibile, e la sola cosa che riesce a percepire, con la memoria anziché con le orecchie, è un vecchio brano country che ha scelto come colonna sonora per il pestaggio, un pezzo degli anni cinquanta che lo aiuta a tenere il ritmo dei pugni. Tutto il resto sono i boccheggiamenti di un pesce in un acquario.
Il diritto sinistro è sempre stato la sua arma migliore, un colpo di disturbo e di preparazione al destro che di solito usa per causare i danni maggiori agli avversari. Ora Gordon ha la possibilità di constatare gli effetti devastanti di questo colpo sulle sue nocche indolenzite, e sul viso martoriato di Nick Fleischman.
L’uso dei guantoni nella boxe è stato introdotto nel 1867 grazie al codice elaborato dal marchese di Queensberry, prima di allora si combatteva a pugni nudi, un’esperienza che Gordon aveva sperimentato da ragazzo e che adesso, non senza un pizzico di malinconia, torna a provare grazie a un involontario sparring partner. Il contatto tra il volto del giornalista e i suoi pugni serrati è pieno, i colpi non sono smorzati da un po’ di pelle imbottita e la percezione del dolore è più diretta e, in un certo senso, più esaltante.
Ogni pugile professionista dovrebbe avere l’opportunità di provare il singolare allenamento che sta testando Gordon Chumball, un bersaglio umano rende meglio l’efficacia dei colpi, oltre a essere infinitamente più espressivo di un sacco o di un punching ball. Tra il pugile e la sua vittima inerme, inoltre, si instaura un feedback immediato, fatto di gemiti e di copiosi versamenti di sangue che si rivelano uno strumento infallibile per misurare la potenza dei pugni. E “The Voice” di sangue ne sta perdendo davvero tanto, è come un rubinetto che perde.

Duemilatrecentocinquanta gocce.

Un’altra delle regole della boxe moderna introdotte dal codice Queensberry riguarda la durata dei combattimenti. Prima che gli incontri fossero suddivisi in riprese, infatti, i pugili si affrontavano a oltranza finché uno dei due non era più in grado di boxare. Se Nick Fleischman fosse stato un pugile, e i cazzotti di Gordon l’espressione di un gesto atletico antecedente la riforma del pugilato, questo sarebbe il momento di interrompere l’incontro e di proclamare il vincitore. Ma non siamo su di un ring, e nessun arbitro può impedire al campione dei pesi massimi di concludere il match a suo piacere. Con un gancio sinistro al mento.
La testa del giornalista ruota all’indietro, concludendo la torsione in una posa innaturale. Gordon è a terra, in ginocchio. Mettere K.O. il giornalista è stato più duro del previsto, ma se non altro, per oggi non avrà bisogno di allenarsi. Le nocche gli sanguinano a causa del contatto ripetuto con i denti di Nick Fleischman, che ora giacciono sul pavimento come biglie bianche e rosse.
Sulla parete di legno alle spalle del giornalista, innumerevoli schizzi di sangue hanno disegnato la traiettoria dei pugni micidiali del pugile, e uno di essi, sfidando la legge di gravità, ha raggiunto il soffitto in legno del cottage. Gordon fissa sbadatamente quella macchia scarlatta, ed è come un bambino davanti a una vecchia attrazione da luna park, di quelle con un punching ball e il quadrante analogico di una bilancia per soppesare la forza dei pugni. Punteggio massimo, una bambolina di pezza da ritirare come premio.
La musica nella testa del pugile ha smesso di suonare, è cessata quando “The Voice” ha ricevuto l’ultimo cazzotto in pieno volto. Peccato solo che l’uomo della radio non abbia potuto sentire la canzone che ha sottolineato gli istanti finali della sua vita, per un ex dee-jay sarebbe stata una consolazione non indifferente, un modo decoroso di andarsene conoscendo la sua passione per il country.
Invece è stato il silenzio. Al giornalista è toccato congedarsi da questo mondo senza poter ascoltare alcun suono confortante. Nelle orecchie, mentre moriva, aveva solo il rumore delle sue ossa che si frantumavano e quello snervante di un rubinetto che perdeva.

Nick Fleischman è morto. Come vi avevo anticipato all’inizio dello spettacolo, non c’è stato nessun colpo di scena, per lui i giochi si erano chiusi ancor prima di vedere le carte. Il rapimento si è evoluto in omicidio, anche questa è una rivelazione che vi avevo già fatto, e adesso non possiamo che concentrarci sul colpevole di questo reato. Gordon Chumball è l’assassino, i suoi pugni l’arma del delitto, caso chiuso.
Il pugile si solleva da terra, è scosso e provato dalla sessione di allenamento più dura che abbia mai sostenuto, un indizio eloquente che l’età d’oro dei successi sul ring è definitivamente alle spalle.
Con l’intento di pulirsi le mani, Gordon entra nel piccolo bagno del cottage. Un piccolo bagno con un rubinetto che perde.

Duemilaquattrocento gocce.

All’interno della stanza c’è un lavandino sporco, impolverato direi, come se l’acqua non lo sfiorasse da tempo. Inutile dirvi che il rubinetto è perfettamente serrato. Sopra il lavandino c’è uno specchio tondo con una mensola per gli accessori da bagno. Il viso contratto di Gordon occupa quasi tutta la superficie dello specchio. Quasi tutta.
In un angolo, dietro le sue spalle, il pugile vede riflesso un particolare che gli richiama alla mente echi di vecchi film dell’orrore, di un film in particolare. Psycho, di Alfred Hitchcock, la sequenza della doccia.
Gordon si volta di scatto per fronteggiare il fantasma di Norman Bates e scacciarlo a suon di cazzotti, ma i suoi pugni fendono l’aria innocua e la superficie traslucida della tendina della doccia. Una tendina insanguinata.
Lo spostamento d’aria causato dai suoi vacui fendenti gli porta alle narici un odore nauseante che prima non sentiva, odore di roba andata a male, di carne in putrefazione, odore di morte. Con una mano ancora sporca di sangue Gordon si tappa la bocca per trattenere i conati di vomito, mentre con l’altra scosta la tendina per vedere cosa si celi dietro di essa.

Duemilaquattrocentouno gocce.

Impiccato con il tubo flessibile della doccia, il cadavere di Joel Fleischman penzola di fronte agli occhi esterrefatti del pugile. L’uomo ha un foro di proiettile in mezzo alla fronte, e con le ginocchia sfiora la pozza di sangue che si è formata sotto di lui a causa dell’emorragia. Il poveraccio deve essere rimasto qui a scolare per molto tempo, goccia dopo goccia.
La mano di Gordon non riesce a trattenere oltre le proteste di uno stomaco in subbuglio, e il pugile si libera, nel modo peggiore, dei bicchieri di whisky che ha bevuto stamattina.
Quanto di più disgustoso possa secernere il corpo umano è ora nel bagno del cottage, eppure Gordon ha di che rallegrarsi, perfino dinanzi a questo scempio nauseante. Joel Fleischman, infatti, è stato assassinato nell’abitazione del padre, e nulla vieta al pugile di pensare che sia stato proprio Nick Fleschman a ucciderlo, magari per una banale lite familiare degenerata in un delitto. “The Voice” deve aver ammazzato suo figlio in un raptus omicida, e questo basta a sollevare il morale di Gordon, lo fa sentire meglio. L’idea di aver fatto fuori un assassino è più accettabile rispetto a quella di aver ucciso un innocente, soprattutto se l’innocente era l’uomo più amato della città.

Lasciamo il pugile alle prese con la sua coscienza (e con un’erronea interpretazione della scena in cui si è imbattuto) e torniamo a far visita a una giovane moglie arrabbiata.

L’iscrizione posta vicino all’uscita principale della KBHR ha innervosito oltremodo Wendy. Come fa l’uomo più amato di Castletown a essere tanto maleducato?! La donna aveva un appuntamento per un intervista con il giornalista, e questi non si è nemmeno curato di informarla che l’incontro è saltato.
«Che tu possa morire!» Sbotta Wendy rimontato sulla Pontiac di suo marito. «Spero che qualcuno ti punisca per la tua arroganza.»
Ovviamente la donna non sa che i suoi desideri sono stati già esauditi da un solerte pugile non udente, così come non sa che lo stesso pugile ha appena scoperto il cadavere di Joel Fleischman. Mettiamo in chiaro una cosa, Wendy sa perfettamente che l’amante di suo marito è morto, dopotutto è stata lei a ucciderlo con la pistola di Teodor, ma è convinta di essere la sola al corrente dell’omicidio.
Quando aveva seguito Joel di nascosto fino al cottage in cui questi viveva con il padre, Wendy era certa che nessuno l’avesse vista, ed era certa che nessuno l’avesse vista entrare nell’edificio dall’ingresso di servizio.
Prima di allora, la donna non aveva mai scassinato una porta, e non aveva mai neppure ammazzato un uomo, ma Joel Fleischman non apparteneva al genere umano, Joel Fleischman era un mostro, un essere abbietto che non meritava di vivere. È stato lui a violentarla nel parco del Liberty College, ed è stato sempre lui a portarle via il marito, sebbene quest’ultima circostanza non le abbia procurato alcun dolore.
Wendy aveva sorpreso Joel mentre si faceva la doccia nel bagno del cottage, era nudo come un verme, intento a lavare una sporcizia troppo profonda per andare via con un po’ di acqua e sapone. Seguendo i preziosi consigli del marito, la donna aveva stretto la sua Colt Python con entrambe le mani e aveva fatto fuoco una sola volta. Un unico proiettile per vendicarsi di una violenza doppia.
La moglie di Teodor Redgrave era rimasta immobile per qualche istante a osservare il cadavere del manager. Era ipnotizzata dai rivoli di sangue che, diluendosi con il getto d’acqua calda della doccia, scivolavano su quel corpo senza vita, ed era ipnotizzata dal modo in cui il rosso stemperava il verde rancido di un tatuaggio che l’aveva tormentata per tanti anni. Di sicuro i barattoli e le bottiglie di birra facevano meno effetto quando li centrava con un colpo di pistola.
C’erano voluti un paio di minuti perché Joel smettesse di scalciare e si ritrovasse, ormai defunto, con il collo imbrigliato nel tubo della doccia, impiccato come un condannato a morte di una vecchia pellicola western. Wendy Redgrave, novella Calamity Jane.
Constatato il decesso di Joel, Wendy aveva chiuso il rubinetto della doccia, lasciando che soltanto il sangue restasse a rigare la pelle bagnata dell’uomo. Dodici ore più tardi Gordon Chumball avrebbe visto lo stesso orribile spettacolo, e solo per aver cercato di sciacquarsi le mani nel lavandino di Nick Fleischman.
Il campione dei pesi massimi, in effetti, era entrato nel cottage un’ora dopo che Wendy aveva sparato a Joel, ma soltanto oggi si è accorto di ciò che la donna aveva lasciato nel bagno. Prima che Gordon da rapitore diventasse assassino, il corpo di Joel Fleischman è dovuto rimanere a frollare per un giorno intero nella doccia di una casa di campagna. Per un singolare caso del destino, e l’imprevedibile sordità di un pugile, sono stati compiuti due delitti, e c’è una sola scena del crimine.
Wendy non può negare una certa soddisfazione per aver consumato una vendetta rimandata troppo a lungo, tuttavia non è del tutto fiera di quello che ha fatto. L’omicidio ha un retrogusto amaro difficile da mandar via, perfino quando ha come oggetto la persona più abietta. Questo Wendy non lo sapeva, pensava che ficcare una pallottola nella testa di un uomo, specialmente se quell’uomo le aveva fatto del male, fosse più semplice, e invece si è sentita svuotata, soddisfatta ma svuotata.
L’aver fronteggiato un fantasma per tanto tempo, infatti, aveva dato un senso alla sua esistenza, e una volta cacciato quel fantasma grazie a un revolver, Wendy ha dovuto fare i conti con l’aspetto più amaro della giustizia, un aspetto che la fa sentire sporca e colpevole.
La signora Redgrave ha deciso di costituirsi alla polizia. Avrebbe voluto uscire di scena trascinando suo marito in uno scandalo di droga e doping, ma dopo che l’intervista con “The Voice” è saltata, Wendy è passata direttamente alla seconda parte del suo piano.

Ora la donna sta guidando verso il posto di polizia di Castletown per uscire da un incubo dal quale non riesce a svegliarsi. All’inizio della giornata vi ho detto che Wendy aveva programmato due appuntamenti. Il primo non ha potuto tenersi per la prematura scomparsa di un ex dee-jay, l’altro, quello che mi interessa più da vicino, riguarda lo sceriffo di questa ridente cittadina di provincia. Ed è qui che entro in scena io.

 
DODICESIMO ROUND


Credo sia giunto il momento di presentarmi, a questo punto il mio nome è l’ultimo tassello del puzzle, l’ultimo pezzo mancante.
Mi chiamo Reginald, Reginald Casper. Faccio l’arbitro di boxe e sono anche lo sceriffo di Castletown, e oggi ho nascosto un crimine per amore. Ne è valsa la pena, però.
Stamattina ho rivisto Wendy dopo tanti anni. Non la vedevo dai tempi del college, ma la sua bellezza è rimasta immutata, e così pure la sua intelligenza. Quanto ai suoi istinti omicidi, beh, chi di noi non ha qualche piccolo difetto?! Anch’io ne ho qualcuno, non ultimo la codardia che ha contraddistinto la fine del mio rapporto con Wendy. Allora ho avuto paura di stare vicino alla donna che amavo, temevo che sarei stato schiacciato anch’io dal suo dolore. Oggi ho potuto rimediare a quell’errore, oggi ho cominciato a rendere felice una persona che ha sofferto tanto. E non m’importa se per farlo ho dovuto insabbiare le indagini sugli omicidi di un celebre giornalista e di suo figlio. In questa città io faccio rispettare la legge, e mi sembra che Wendy, confessandomi il crimine che ha compiuto, abbia pagato un tributo sufficiente alla giustizia. Il suo dolore ha pareggiato la sua colpa.
Wendy è innocente, di questo avrò tutto il tempo di discuterne con lei, a cominciare dalla cena che ho programmato per stanotte, un appuntamento romantico che non può che farle bene, che non può che farmi bene.
Dopo l’incontro, la cena sarà dopo l’incontro di boxe. Per ora ho qualcosa da fare, un impegno improrogabile che mi obbliga a rimandare qualunque altra cosa.
I riflettori si sono appena accesi e illuminano a giorno il ring della Tyson Arena. La folla mormora, qualcuno acclama i suoi beniamini, qualcun altro inveisce contro due pugili un po’ troppo malmessi per non essersi ancora scambiati un colpo. Teodor Redgrave è raggiante nel suo angolo, raggiante e strafatto di coca. Non sa ancora cosa è capitato a Joel, il suo manager e amante, adesso il suo unico pensiero è il titolo dei pesi massimi. Gordon Chumball siede perplesso e frastornato nell’angolo opposto. Il suo allenatore lo sta tempestando di consigli inutili che lui non può sentire, e per me è il momento di guadagnare il centro del quadrato. Ho un incontro di boxe da dirigere.

Richiamo a me i due pugili, controllo i guantoni e li osservo negli occhi. Conosco i loro segreti, ma ora è tempo di boxare, dunque fuori i secondi, e niente colpi bassi.


Pubblicato in: “Donne delitti serpenti”, Liberodiscrivere (Genova), 2004

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