A vent’anni il mio girovita era di settanta centimetri. A trenta superava abbondantemente i novanta. Oggi il metro non basta più.
Eppure continuo a sentirmi bella, la più bella. È soltanto una sensazione, un’idea non avvalorata dai responsi tutt’altro che incoraggianti dello specchio, ma perfino con la mia stazza attuale mi sento una donna affascinante e con parecchie carte da giocare al tavolo della seduzione.

Cade una foglia. Un colpo di vento l’ha separata per sempre dal ramo che per una settimana aveva sopportato il suo peso irrisorio. Un ramo di betulla. Se foste muniti dell’apparato uditivo di un lupo avreste sentito un rumore, il tonfo distinto e caratteristico di una foglia che cade sul terreno.
I lupi sono una presenza tutt’altro che rara dopo l’intervento di ripopolamento attuato dal Centro Nazionale Recupero Fauna Selvatica. Lo sanno bene gli allevatori del Paese.

Dicono che i ricordi dell’infanzia siano quelli che restano maggiormente impressi nella memoria. Non so quanto ci sia di vero in questa teoria, ma so per certo di avere già scordato cosa ho mangiato ieri per cena, mentre ricordo perfettamente alcuni episodi della mia giovinezza.

Io non c’entro, non ho colpe.
Dopo tanto tempo, e nonostante ciò che dice la gente, queste sono le sole parole che mi sento di dire, le sole che ancora mi trattengono nel posto in cui sono nato. E in quello in cui mi piacerebbe morire. Io non c’entro, non ho colpe.
Mi guardo allo specchio, oggi come allora, e davvero non riesco a trovare nulla di sbagliato nel mio comportamento, nulla che possa giustificare le accuse di chi continua a ritenermi responsabile di una morte tanto atroce. Non dico che non avrei potuto commetterlo veramente, è solo che l’omicidio non rientrava nei miei piani. Non ancora perlomeno.
Io sono un uomo perbene.

Può la violenza estrema diventare arte? La risposta è sì, almeno a sentire le parole dell’eclettico Takashi Miike (e dei suoi tanti estimatori sparsi in tutto il mondo). Il geniaccio in questione è tipo dalla telecamera facile, uno che gira un film in un paio di settimane macinando ripresa dopo ripresa a colpi di “one shot”, in altre parole: buona la prima e pedalare (altro che i reiterati ciak a cui sono abituati i filmaker nostrani!).

Mettetevi comodi. Sedetevi sulle vostre poltroncine di velluto blu, sono appena le sette e trenta, ma lo spettacolo sta già per cominciare, e io vi ho riservato i posti migliori. Prima fila, a un passo dal palcoscenico, a un passo dal ring. Fuori i secondi.

Utilizzo questo post per raccogliere tutte le informazioni (tutte quelle che riesco a trovare quantomeno!) su un fenomeno cinematografico attualissimo, e cioè la “febbre da cartone animato” che pare abbia contagiato i filmmaker di mezzo mondo. Forse per esplorare nuovi orizzonti, o più probabilmente per sopperire al decadimento contenutistico delle sceneggiature degli ultimi tempi, sono sempre più le produzioni che adattano per il grande schermo storie tratte dai cartoni animati e dai fumetti (dagli anime e dai manga, nel caso dei corrispettivi made in Japan), e lo fanno sostituendo i disegni e i colori con attori in carne e ossa, oltre che con un’abbondante spruzzata di pixel per rendere omaggio allo strapotere della CGI.